Interpretazione e atto

« Older   Newer »
  Share  
view post Posted on 29/4/2010, 17:56
Avatar


Group:
☆ ADMIN ☆
Posts:
74,822
Location:
Perla Nera

Status:


L’interpretazione analitica non è una chiarificazione: non lo è. E Bettelheim lo lascia intendere con chiarezza, perché è la materia stessa, cioè lo psichismo dell’essere umano, cui l’interpretazione si applica, a rendere improbabile un’operazione cosi pensata.
L’interpretazione ha di mira il senso rimosso o latente che permea le simbolizzazione inconsce. Fa risaltare il senso celato, sfuggente, permette che le parole riappaiono nella consapevolezza del paziente.
Il senso partecipa di una buona dose di non senso che lo nutre, lo vivifica come tale, il senso non è riducibile a livello del puro e semplice significato.

Esso contiene un voler dire.



L’interpretazione si discosta da un altro intervento cui l’analista può ricorrere: quello della costruzione. La costruzione risulta più vicina all’ordine di ciò che prima designavamo come spiegazione: essa, però, non ha come obiettivo immediato di informare il paziente.
Due sono gli scopi che ne giustificano l’utilità: permettere al paziente di reperire la propria posizione particolare, promuovere il rilancio della produzione associativa dell’analizzante, sulla quale l’analista poi interviene con un’interpretazione.
L’interpretazione riguarda quel che Freud chiama un singolo elemento del materiale inconscio che il paziente esplicita. La costruzione, invece, ha carattere più globale, decisamente meno allusivo, ben più chiaro. Essa si manifesta.
L’interpretazione si accompagna al tempo, al suo soggetto, al modo.
C’è una temporalità propria dell’interpretazione, vale a dire a un “quando l’analista può interpretare”.
Vi prendono larga parte la sensibilità e l’ascolto. Sta all’analista cogliere il momento giusto. La sorpresa ha la forma di una scommessa e il contenuto di una profezia.
Il tempo per l’interpretazione è il tempo dell’istante in cui si presenta un determinato materiale: l’analista non lo sa prima, non può calcolarlo più di tanto, mentre l’opportunità offerta dal paziente, va colta al volo.

Il momento buono è il momento giusto.



L’interpretazione ha il compito di rilanciare, stimolare la produzione del paziente, di incoraggiare la messa al lavoro del soggetto, incuriosendolo. Il contenuto e il modo: sono due elementi che riteniamo non più di tanto divisibili l’uno dall’altro.
Non esiste una teoria autonoma dell’interpretazione, tutt’al più sussistono delle tecniche. Non tutto ha un senso analiticamente fondato.

Non tutto è interpretabile.



Una teoria del soggetto, in quanto soggetto dell’inconscio, interpella una teoria della causalità psichica un sapere, cioè, in grado di fornire una lettura degli accadimenti psichici nell’individuo.
È il desiderio il motore invisibile che anima la vita psichica del soggetto, ed è dunque, il desiderio, a partire dalle sue manifestazione, che l’interpretazione ha di mira.
Il desiderio inconscio ha come oggetto di bramosia il genitore del sesso opposto, eventualmente i suoi sostituti.
Il fallo è una rappresentazione che simbolizza la dialettica del desiderio nella realtà sessuata dell’inconscio: in questo senso il fallo origina un senso, una significazione precisa, non qualsiasi.
La significazione fallica è data dall’intreccio tra il sesso e il senso.
Essa riassume il vero voler dire e voler essere che muove, appagando o frustrando, il soggetto. La sua dialettica è sostanzialmente riconducibile a un’oscillazione tra due posizione: essere il fallo o averlo.

Essere il fallo significa essere o pretendere di essere il desiderio dell’altro.
Averlo vuol dire: il potere, la forza, il sapere, il denaro.



L’esibizione di chi ha rispetto a chi non ha, il conflitto e la rivalità che ne consegue, riportano al cuore del dramma edipico, di cui il sentimento di gelosia è parte integrante.
Il desiderio inconscio è un desiderio che si oppone alla legge simbolica, alla legge non scritta: l’interpretazione lo svela, restituendo alla consapevolezza l’individuo.
La metafora implica la sostituzione di una rappresentazione con un’altra assimilata. La forza della metafora sta nel tenere congiunti tra loro due termini: quello nuovo e quello che viene soppresso o sostituito; nel nostro caso: quello prodotto dall’interpretazione e quello presente nel materiale verbale del paziente.
La metonimia è un trasferimento di denominazione. L’interpretazione metonimica coglie anch’essa una relazione con il desiderio inconscio, ma secondo una configurazione meno strutturata è simbolizzata, più legata al godimento che non al valore.
L’interpretazione spinge il soggetto a un godimento che lo domina e di cui non riesce a fare a meno: letteralmente, qualcosa più forte di lui, che non riesce a lasciar perdere, a rimuovere.
Il godimento trova un punto di fissazione che Lacan denomina come oggetto A.
Il godimento finisce per divenire ciò che è espulso dal senso ciò che al senso si oppone.
L’oggetto A rappresenta l’oggetto miticamente perduto dal soggetto, senza peraltro essere mai stato effettivamente posseduto: nel posto lasciato vuoto da questo oggetto, compare successivamente la sequela degli oggetti sostitutivi convocati a tamponare il buco lasciato aperto da quella mancanze.
L’interpretazione metonimica si volge a riportare quelle tracce simboliche che rinviano alla realtà ultima e reale del soggetto, tendente a sconfinare nel silenzio.
Un atto non necessariamente è un’interpretazione, ma un’interpretazione può ben essere, in virtù della forza, della caratterizzazione che assume, un atto.
La forma presa dalla materia, che la trasforma in un oggetto piuttosto che in un altro, è l’atto: letteralmente, quindi, l’atto è ciò che dà vita alla materia.

L’anima è atto, atto primo, di un corpo naturale che ha la vita in potenza.
La potenza è oggettività, l’atto invece soggettività.



L’atto costituisce un momento di riappropriazione effettiva, o quantomeno tentata, del simbolico sul reale, di soddisfazione che condiziona continuamente il soggetto.
Il soggetto agisce traducendo nell’azione o nel movimento ciò che non riesce a sostenere sul piano di una pertinente e adeguata articolazione verbale.
Gli atti mancanti non appaiono come un rifiuto della simbolizzazione in quanto tale; al contrario, testimoniano dolorosamente della domanda inconscia del soggetto in quella direzione.
 
Top
0 replies since 29/4/2010, 17:56   24 views
  Share