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| La nozione d’empatia trova la sua origine nella nozione diltheiana di verstehen (comprendere) e in quella jaspersiana di Einfùlhung (sentire con). Si tratta di ascoltare ciò che l’altro dice a partire non da una posizione di ascolto neutrale ma, al contrario, da una immedesimazione profonda con il vissuto emotivo del paziente. Il tentativo di sperimentare, da parte di una persona, la vita interiore di un’altra, pur conservando nello stesso tempo la posizione di osservatore imparziale risale in fondo al concetto di controtransfert. Se per FREUD il controtransfert indicava una macchia cieca nell’ascolto dell’analista, a partire dagli anni ’50 assistiamo a un recupero del controtransfert inteso come strumento di ampliamento dell’ascolto dell’analista. L’inconscio dell’analista viene cosi ampliato nella cura tanto quanto l’inconscio del paziente. L’empatia indica, in effetti, non solo un sentire ciò che l’altro sente, ma anche un sentire ciò che l’altro non può sentire. In questo modo il paziente può riappropriarsi nel colloquio di frammenti di sé altrimenti destinati a rimanere dispersi e scissi dalla sua personalità. Questo nuovo testo, costituito dalle onde emotivo-affettive che l’incontro col paziente genera nell’analista, diventa inoltre oggetto di una nuova verbalizzazione che l’analista rivolge al paziente. Il limite del colloquio empatico è la svalutazione della dimensione simbolica del linguaggio, con il conseguente rischio di produrre una confusione immaginaria tra la parola e i vissuti del paziente e quelli dell’analista. Nel colloquio empatico la scena è integralmente occupata dai vissuti reciproci di analista e paziente senza poter definire dove terminano quelli dell’uno e cominciano quelli dell’altro. Non a caso, uno degli sviluppi più recenti della nozione di empatia è il concetto di campo, a sua volta ambiguo perché annulla l’asimmetria del dialogo analitico assorbendo in un unico campo la soggettività dell’analista e quella del paziente.
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